IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento a carico di El Badr Mohammed, nato a Mohammedia il 1° giugno 1978 difeso d'ufficio dall'avv. Lattanzio del Foro di Asti, per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 come modificato dalla legge n. 189/2002, perche', senza giustificato motivo, si tratteneva nel ter-ritorio dello Stato in violazione dell'ordine del Questore di Asti di allontanarsi dal territorio dello Stato entro cinque giorni dalla notifica del provvedimento (notifica avvenuta in data 12 maggio 2003). Fatto accertato in San Damiano il 21 maggio 2003. Premesso: che in data 21 maggio 2003 alle ore 9,20 il prevenuto veniva tratto in arresto nella flagranza del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, legge n. 286/1998 perche' sorpreso in territorio nazionale dopo la scadenza del termine di giorni cinque, entro cui gli era stato intimato dal Questore di Asti, con provvedimento del 12 maggio 2003, notificato in pari data, di allontanarsi dall'Italia attraverso la frontiera aerea della Malpensa; che all'udienza del 22 maggio 2003, il p.m. chiedeva la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio direttissimo e che la difesa dichiarava di rimettersi al giudizio del giudice. Questo giudice rileva innanzitutto che sussistono i presupposti formali per l'applicazione della norma di cui all'art. 14, comma 5-quinquies d.lgs. n. 286/1998, atteso che l'imputato e' stato arrestato perche' sorpreso nella flagranza del reato contestatogli ed atteso il rispetto da parte della p.g. che ha proceduto all'arresto degli obblighi previsti dall'art. 386 c.p.p., cosi' come le prescrizioni normative poste dagli artt. 390 e 391 c.p.p. Dovrebbe pertanto trovare applicazione la norma dell'art. 14, comma 5-quinquies, che imporrebbe di convalidare l'arresto in quanto obbligatorio, norma peraltro della cui legittimita' costituzionale pare lecito dubitare per i seguenti motivi. La fattispecie penale in relazione alla quale e' previsto l'arresto de quo e' inserita nell'ambito del sistema relativo alla esecuzione del decreto di espulsione prefettizio di cui all'art. 13, comma 2, legge n. 286/1998. Una volta decretata da parte del prefetto l'espulsione amministrativa dello straniero, l'esecuzione della stessa spetta al questore che, a norma dell'art. 13, comma 4, deve eseguirla mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. L'accompagnamento coattivo viene previsto dalla legge come il mezzo principale e generale per l'esecuzione delle espulsioni, (tranne che per alcuni casi espressamente previsti dall'art. 13, comma 5), e trattandosi di misura che incide sulla liberta' personale, e' soggetto a convalida da parte della autorita' giurisdizionale. Ove tuttavia non sia possibile eseguire immediatamente l'espulsione (perche' occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identita' o nazionalita' ovvero alla acquisizione di documenti di viaggio, ovvero vi sia indisponibilita' di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo), a norma dell'art. 14, comma 1, lo straniero, su ordine del questore, viene trattenuto presso un c.p.t. con una procedura che, attesa la sua giurisdizionalizzazione, non consente abusi. Il questore ha a disposizione trenta giorni di tempo (rinnovabili di altri trenta) per eliminare le cause che avevano impedito l'espulsione immediata ed eseguirla. Se poi, «non e' stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea...» il legislatore prevede un sistema residuale di esecuzione dell'espulsione consistente nell'intimazione da parte del questore allo straniero espulso di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni. Il legislatore delega, in definitiva, allo stesso soggetto onerato, l'esecuzione del provvedimento di espulsione, rendendola coattiva attraverso la previsione di una sanzione penale. L'inottemperanza all'ordine del questore, senza addurre giustificato motivo e', infatti, sanzionata penalmente con l'applicazione della pena dell'arresto da sei mesi ad un anno e comporta, da parte delle forze dell'ordine, l'arresto obbligatorio dell'autore del fatto e il giudizio per direttissima (art. 14, comma 5-quinquies). La norma incriminatrice appare essere legata da un rapporto di species ad genum rispetto alla fattispecie di cui all'art. 650 c.p., in cui la specialita' consiste nel fatto che l'ordine questorile e' gia' normativamente predeterminato nei presupposti e nel contenuto. I presupposti dell'intimazione entrano a far parte del contenuto della stessa, rendendo legittimo l'uso del potere solo se vengono rispettati. L'ordine questorile deve pertanto, contenere, nella parte motiva, l'espresso riferimento alle condizioni che ne hanno determinato l'emissione. Dal profilo strutturale, il reato in esame presuppone, pertanto, non solo un preesistente valido decreto di espulsione amministrativa, ma anche una complessa situazione di fatto, basata a sua volta su due presupposti: 1) impossibilita' di esecuzione immediata dell'espulsione a causa della sussistenza di una delle condizioni ostative di cui all'art. 14, comma 1; 2) impossibilita' di trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporaneo. Delimitato in questo modo l'ambito di operativita' della fattispecie penale e la sua connotazione strutturale, l'art. 14, comma 5-bis e ter e, conseguentemente, la norma che deve trovare applicazione dell'art. 14, comma 5-quinquies appaiono confliggere con gli artt. 2, 13, 25, comma 2, e 27, comma 3, Cost. in quanto in contrasto con il principio di offensivita' dagli stessi enucleato. Il principio nullum crimen sine iniuria trova, infatti, fondamento nella Costituzione che all'art. 25, comma 2, ha costruito una nozione di reato come illecito tipico, comprensivo anche della offesa al bene tutelato. Ogni qual volta i diritti inviolabili dell'uomo, fra cui rientra quello della liberta' personale, subiscono limiti in relazione alla sussistenza e alla necessita' di tutelare altri diritti con cui i primi devono armonizzarsi, il loro sacrificio e' legittimo solo se i secondi abbiano pari dignita' costituzionale. Il principio di offensivita' opera, pertanto, su due differenti livelli: 1) l'interesse tutelato dalla norma penale deve avere «significativita' costituzionale»; 2) il reato deve estrinsecarsi in un fatto necessariamente lesivo, o quantomeno pericoloso, di tale interesse. Il principio in esame pone, pertanto, un limite alla discrezionalita' del legislatore impedendo che vengano perseguite condotte prive di un reale disvalore e che il reato possa essere strutturato a priori ed in astratto in modo tale da non essere lesivo dell'interesse, oggetto giuridico della norma incriminatrice. Nel caso di specie, la norma denunciata e' volta a tutelare ed ha ad oggetto quegli stessi interessi, ordine pubblico e sicurezza pubblica, di sicuro rilievo costituzionale, a protezione dei quali e' emanato il provvedimento di espulsione e rispetto al quale la intimazione costituisce il mezzo di esecuzione. La fattispecie penale e' strutturata, tuttavia, fin dalla sua previsione astratta, in modo tale da escludere anche in via meramente ipotetica, la lesione del bene protetto. Il reato in questione, infatti, ha come presupposto un decreto di espulsione che il legislatore stesso all'art. 14, comma 1, definisce «non immediatamente eseguibile» a causa della sussistenza di una delle condizioni ostative ivi espressamente previste. L'inottemperanza all'ordine questorile appare, pertanto, fin dalla sua previsione astratta non idonea a ledere il bene protetto dalla norma, atteso che e' il legislatore stesso che definisce ineseguibile il provvedimento di cui l'intimazione rappresenta il mezzo di attuazione. La norma penale, pertanto, cosi' strutturata, appare configurare un illecito di mera disubbidienza, disancorato dalla lesione di un qualsiasi bene giuridico; lo straniero espulso, viene infatti, sottoposto all'arresto obbligatorio e punito con la pena dell'arresto per il solo fatto di aver disubbidito all'intimazione del questore, a prescindere dal fatto che gia' a priori manca la possibilita' concreta di eseguire l'ordine e quindi di ledere il bene a protezione del quale la nonna e' preposta. Occorre a tale proposito sottolineare che in base ai principi che regolano il diritto amministrativo, perche' un ordine impartito dalla pubblica amministrazione sia vincolante per il destinatario, lo stesso deve essere eseguibile e cioe' non devono sussistere cause ostative alla sua diretta ed immediata attuazione. Fra i presupposti dell'esecutivita', rientra la cosiddetta «possibilita' materiale» e cioe' la possibilita' che l'atto mandato ad esecuzione possa effettivamente realizzare il suo scopo. L'ordinamento entra in contraddizione con se stesso quando ordina di dare esecuzione ad un provvedimento che per sua stessa ammissione non e' eseguibile. A maggior ragione la contraddizione sussiste, diventando irragionevolezza, quando all'ordine di attuazione del provvedimento non eseguibile viene fatta conseguire, in caso di inottemperanza, una sanzione penale. Il reato presupposto dell'arresto (p. e p. dall'art. 14, comma 5-ter) contrasta pertanto, sotto questo profilo, anche con 211 artt. 13 e 27, comma 3, Cost. La compressione della liberta' personale che consegue alla inottemperanza, diventa infatti, ingiustificata atteso che non e' bilanciata da alcun interesse che ne giustifichi la limitazione. Nessuna finalita' di rieducazione della pena puo' essere, poi, ravvisata in una sanzione volta a rendere coercibile un comportamento che lo stesso legislatore definisce non eseguibile e che a cui la stessa pubblica amministrazione non e' in grado di far fronte. La norma da applicare appare poi in contrasto anche con i principi stabiliti dagli artt. 3 e 13 della Carta costituzionale anche sotto altri profili. La norma in questione ad avviso di questo giudice si pone in contrasto innanzitutto con l'art. 13 della Costituzione. L'istituto dell'arresto, quale strumento di temporanea privazione della liberta' personale, soggiace al rispetto dei principi posti dall'art. 13 Cost. che, com'e' noto, prevede la possibilita' di comprimere la liberta' personale solo in forza di atti motivati dell'autorita' giudiziaria e limita l'adozione di provvedimenti provvisori da parte della p.g. soltanto ai casi eccezionali di necessita' ed urgenza. Da cio' discende come corollario la tassativita' delle ipotesi di arresto previste dagli artt. 380 e 381 c.p.p., non suscettibili di applicazione analogica. Nella disciplina codicistica la misura dell'arresto e' in stretto legame e finalizzata all'applicazione di misure cautelari coercitive, sia pure non costituendo queste ultime il necessario esito della procedura di convalida. Sintomatica di tale necessario collegamento tra la previsione dell'arresto e la sottoponibilita' dell'arrestato a misura cautelare e' del resto anche la nonna dell'art. 121, comma primo, disp. att. c.p.p., che prevede che il pubblico ministero disponga la liberazione immediata dell'arrestato quando ritiene di non dover richiedere l'applicazione di misure coercitive. E' chiaro che per il reato in esame non sara' mai possibile pervenire all'emissione di misure coercitive, a cio' ostando sia i limiti edittali di pena (essendo punito con l'arresto da sei mesi ad un anno) sia la tipologia di reato (trattandosi di contravvenzione e non di delitto). Se cosi' e', si deve pervenire alla conclusione che per questo tipo di contravvenzione e' previsto un arresto obbligatorio destinato necessariamente a portare alla liberazione dell'arrestato ancor prima dell'udienza di convalida e che comporta quindi una compressione della liberta' personale non giustificata da un'apprezzabile necessita' e dunque non conforme al criterio di cui al comma secondo dell'art. 13 della Costituzione. Ma la norma da applicare appare anche in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto viola il principio di uguaglianza. In particolare non conforme al criterio di ragionevolezza (nell'accezione ormai consolidatasi nella giurisprudenza della Corte costituzionale) si rivela il diverso trattamento dal legislatore riservato a due situazioni diverse, apparendo la disciplina prevista per la condotta di cui all'art. 14, comma 5-ter, legge cit. piu' rigorosa rispetto a quella prevista per la condotta di cui all'art. 13, commi 13 e 13-bis, stessa legge, atteso che per il reato di cui all'art. 14, comma 5, e' previsto l'arresto obbligatorio in flagranza mentre per i reati di cui all'art. 13, commi 13 e 13-bis, e' previsto l'arresto come facoltativo. Risulta prevista l'obbligatorieta' dell'arresto per il caso di cittadino extracomunitario che sia stato raggiunto da un provvedimento di espulsione del questore e che sia sorpreso nel territorio nazionale (art. 14, comma 5-ter, legge cit.). E' invece meramente facoltativo l'arresto nel caso che il cittadino extracomunitario sia stato raggiunto da un provvedimento di espulsione da parte del giudice, sia stato concretamente espulso ed abbia ciononostante fatto ritorno sul territorio nazionale sul quale venga sorpreso (art. 13, commi 13-bis e ter, legge cit.). Il maggior rigore riservato alla prima situazione non si giustifica, ad avviso di questo giudice, sotto nessun plausibile motivo, apparendo anzi la condotta sanzionata dall'art. 13 cit. piu' grave di quella punita dall'art. 14, stessa legge: prova ne sia che si tratta, nell'un caso, di un delitto punito con la reclusione fino a quattro anni, nell'altro caso di una contravvenzione punita con l'arresto fino ad un anno. A fondare tale diversita' di trattamento non appare emergere neppure una valida ragione di ordine pratico. Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso che faccia ritorno nel territorio dello Stato non si trova in una situazione fattuale diversa da colui che da un simile provvedimento non sia mai stato raggiunto e che sia stato invece colpito dal provvedimento del questore ai sensi del successivo articolo 14. Anzi appare certamente piu' riprovevole la condotta di colui che, dopo essere stato concretamente espulso dal territorio nazionale, illegittimamente e per la seconda volta vi faccia ritorno, rispetto alla condotta di chi, spesso introdotto per la prima volta in Italia con scarsa o nessuna consapevolezza (si pensi alle giovani da avviare alla prostituzione, sovente condotte in Italia da terzi contro la loro volonta), si trovi a dover ottemperare ad un ordine di espulsione senza neppure avere i mezzi materiali per poterlo fare (e' frequente nell'esperienza di questo giudice il caso di cittadino extracomunitario che ha dichiarato di non avere il denaro per affrontare il viaggio ovvero di avere difficolta' a rientrare nel proprio paese in quanto privo di documenti). Anche nel caso del cittadino espulso che rientri nel territorio dello Stato sussistono inoltre le medesime ragioni di urgenza che sussistono per il cittadino al quale un provvedimento di espulsione del questore sia stato notificato. Appare quindi evidente che la disciplina difforme riservata alle due fattispecie non e' ragionevole e come la norma in esame, prevedendo il trattamento piu' rigoroso per la condotta meno grave, appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, ove tale norma si raffronti con quella dell'art. 13, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286. E' da aggiungersi, ancora sotto il profilo della rilevanza della questione che, ove la previsione dell'arresto fosse in termini di facoltativita', non vi sarebbero nel caso di specie gli estremi per poterlo ritenere giustificato e quindi per convalidarlo, attese le particolarita' del caso (cittadino privo di mezzi e documenti per il quale anche le autorita' di polizia hanno difficolta' ad eseguire l'espulsione). Si sottolinea al riguardo che l'intimazione del questore motiva la necessita' del provvedimento facendo riferimento: all'impossibilita' di procedere all'accompagnamento immediato alla frontiera perche' sprovvisto di documento idoneo all'espatrio e all'impossibilita' trattenerlo presso un centro di permanenza temporanea e di assistenza.